Ci diamo una mano a dare una mano

“Oggi qualcuno da una mano a me
domani sarò io a dare una mano a qualcuno.”
(Samuel Safari Simra)

L’africa nera, si sa, è quella che è: miseria. Altissima la mortalità infantile e bassissima la speranza di vita; manca, ai più, qualsiasi possibilità di accesso a strutture sanitarie e scolastiche; i tanti bambini dei villaggi perlopiù vivono in strada, spesso sfruttati, e le gravidanze precoci sono sempre più frequenti.

L’africa nera, si sa, è quella che è: troppa. Le pur tante iniziative di aiuto e sostegno non possono, oggettivamente, riuscire a coprire tutte le reali necessità ne’, tantomeno, a garantire la necessaria continuità.

Da sentirsi del tutto impotenti, dunque. E invece no, perché non fare, potendo fare, è “peccato”, è un torto alla ragione e al buon senso, e dunque: chiunque abbia “voglia di fare” faccia il suo, niente “… che fine fanno i miei soldi … ” niente “ … che posso fare io …”.

Niente “io” e niente “mio”, niente problemi con se stessi al centro, bloccati dal pretendere un meglio che non c’è: se si ha voglia di fare il modo più efficace di farlo è … farlo, appunto. Non è banale, è solo insufficiente, perché una volta che si è deciso di fare del bene bisogna anche … farlo bene: purtroppo la generosità non basta e le cose, se non ben gestite, sono a forte rischio di spreco. Altrettanto importante, dunque, che chi ha “voglia di fare” lo faccia, per così dire, “nel suo piccolo”, nel senso di impegnarsi in progetti dai limiti ben definiti, commisurati con le proprie forze e risorse; perché, in questo contesto, anche sprecare il poco che c’è è “peccato”.

Progetto Lucy Smile nasce così, veramente nel suo piccolo – un po’ di persone che si danno una mano a dare una mano – puntando a pochi e ben delimitati obbiettivi, commisurati con le proprie forze e risorse:

  • Nella zona di Goma, epicentro dell’eccidio del Ruanda: sostegno scolastico per 150 piccoli figli di profughi e realizzazione di una scuola infermiere in prossimità di un presidio di “medici senza frontiere”

  • In un villaggio in prossimità di Malindi: costruzione di un orfanotrofio per accogliere fino a 60 bambini garantendo loro sostentamento, cure e istruzione.

  • In un villaggio rurale del Kenya: realizzazione di scuole e dispensario/laboratorio analisi/astanteria al servizio della comunità locale.


Sempre con l’idea di offrire una seconda chance attraverso l’istruzione, l’investimento più vantaggioso.
La scelta di puntare su progetti piccoli su cui impegnarsi in prima persona è stata dettata dalla importanza riconosciuta ad elementi quali:

  • Sostenibilità e gestibilità dell’impegno

  • Annullamento delle spese a contorno (100% di quanto raccolto raggiunge gli obbiettivi)

  • Coinvolgimento diretto nel supportare in loco i beneficiari a progredire con mezzi propri, onde perseguire obbiettivi che non siano di pura assistenza ma anche, e soprattutto, di sviluppo.


Queste scelte non hanno un perché, in realtà non sono nemmeno delle scelte: sono capitate (storia di Lucy e storia di Nicola), e si è valutato che potevano essere affrontate con ragionevole certezza di successo. C’era la voglia di fare, c’era la possibilità di fare, lo si è fatto! Altro non serve.

E non c’è da chiedersi perché quelle piccole realtà sì e tantissime altre no, lo si è detto: l’Africa nera è “miseria” ed è “troppa” e senza bacchetta magica (non esistono bacchette magiche) l’alternativa a far poco è non fare. Certo, giusto non è, ma se non hai gli stivali delle sette leghe (non esistono gli stivali delle sette leghe) e non puoi fare passi da gigante, devi procedere per piccoli passi.

È poco? Sicuro! Ma 100 di questi “poco” lo sarebbero ancora? E 1000? E 10000?
Ancora poco? Può darsi, anzi: tragicamente sicuro, ma c’è un altro modo di far di conto. Qui in fondo si tratta “solo” di 200 bambini, vero. Ma se aiutati lì, facendoli studiare lì, facendoli crescere lì, con ben chiaro il valore della solidarietà, può finire che, fatto il loro bene, siano poi loro ad adoperarsi a fare il bene di altri. Che splendida catena di sant’antonio ne verrebbe! Certo, il successo non è assicurato per nessuno, ma chissà: Samuel Safari Minra non è mica “qualcuno”, è solo un orfano nato nella miseria, senza un occhio e senza padre. Oggi ha 11 anni e studia con profitto: è questo che qualcuno “ha fatto nel suo piccolo”.

L’africa nera, si sa, è quella che è: in credito.